___________________________________________________________________

 

Da “Dialoghi di Diritto Tributario” n. 4/2005

 

Accertamenti bancari - Le presunzioni devono essere applicate con ragionevolezza

Di Alberto Buscema

Dottore Commercialista in Padova

 

Come è noto tra le norme che attribuiscono i poteri accertativi agli uffici delle imposte vi sono delle devastanti presunzioni di evasione che sono collegate, in modo particolare, alle movimentazioni dei conti correnti bancari e postali.

In particolare in quelle disposizioni  viene stabilito che gli accrediti in conto si presumono componenti positivi di reddito, qualora il contribuente non riesca a dimostrarne l’irrilevanza; per imprenditori e professionisti opera la medesima presunzione anche per gli addebiti di cui essi non siano in grado di indicare il beneficiario delle somme erogate e non vi sia annotazione nelle scritture contabili.

La recente legge Finanziaria ha modificato, tra l’altro, le disposizioni relative agli addebiti specificando che le presunzioni relative ai prelevamenti e ai pagamenti sono riferibili anche ai professionisti, inopinatamente esclusi dalla prima stesura della norma.

La struttura presuntiva delle disposizioni è già stata criticata in dottrina per le difficoltà difensive che si presentano a fronte di movimenti finanziari effettuati anche anni prima delle contestazioni mosse dagli uffici.

Interessa, in questa sede, approfondire gli effetti distorsivi che queste presunzioni, qualora pedissequamente applicate senza alcuno spirito critico, possono comportare.

In particolare si desidera analizzare la presunzione relativa ai prelevamenti evidenziando la necessità di interpretarla conformemente  ai precetti costituzionali.

E’ necessario, a tal fine, ricordare che la presunzione fiscale, per aderire al dettato costituzionale, deve essere logica e deve corrispondere alla comune esperienza.

Orbene, i prelevamenti effettuati dall’imprenditore o professionista sono stati considerati dal legislatore quali ricavi o compensi poiché possono essere stati utilizzati quali provvista di pagamenti effettuati “in nero”.

Lo scopo della norma è anche comprensibile, ma sulla scorta di determinati presupposti, a cominciare da quello della mancata registrazione, o comunque della mancata emersione, delle corrispondenti componenti positive di reddito; se applicata fuori da questo contesto, e alla lettera,  la norma è invece squilibrata, e non risponde ai canoni dell’esperienza comune e della razionalità.

Invero, è dato di comune esperienza che i prelievi bancari possano riguardare sì pagamenti in nero ma anche semplici prelievi del titolare.

La spiegazione piu’ comune dei prelevamenti bancari  – pensiamo p. es. ad un soggetto in contabilità semplificata, in quanto la norma esclude dalla presunzione coloro che hanno annotato l’operazione nelle scritture contabili - effettui dei prelievi per far fronte alle sue necessità di vita quotidiane.  

Poniamo il caso che questo contribuente venga verificato,  mediante controllo dei conti bancari, e gli si contestino  le operazioni di prelievo: quale difesa si potrà opporre a questo rilievo?

Oppure pensiamo ad un contribuente in contabilità ordinaria che detenga due conti, uno destinato all’attività professionale, e fedelmente contabilizzato nelle scritture obbligatorie, e l’altro destinato alle esigenze personali, ma alimentato dal primo.

In fondo il problema resta lo stesso: i prelievi sono effettivamente personali e la difesa alle contestazioni non appare agevole.

L’unica strada percorribile, seguendo l’impostazione normativa, è quella di indicare il beneficiario delle somme, quindi lo stesso soggetto che ha prelevato; e qui si innesca un procedimento perverso perché  l’ufficio ha, astrattamente, più possibilità di scelta.

Può, infatti, accettare l’indicazione – a fronte di qualsiasi somma – e non rettificare il reddito; una interpretazione non condivisibile perché priverebbe di significato la norma, in questo modo facilmente aggirabile.

Oppure ritenere che la somma prelevata sia esorbitante le sue necessità (si introduce un giudizio soggettivo sulla misura delle necessità personali?).

Oppure, ancora, ritenere che tutti i prelevamenti siano destinati a pagamenti “in nero”; ma anche questa interpretazione non è praticabile perché conduce a risultati irragionevoli.

Credo che le presunzioni che stiamo commentando vadano ricondotte a razionalità dall’interprete e non possano essere applicate “automaticamente” quali parametri di misurazione del reddito.

La presunzione diventa persuasiva quando conduce a risultati ragionevoli.

Solo a fronte di eccessive movimentazioni di prelievo si potrà validamente sostenere una evasione; non così quando gli stessi appaiano congrui o verosimili.

Ritengo, insomma, che in questo caso la presunzione non operi “de plano” ma debba essere mediata tramite i criteri indicati dalla Corte Costituzionale e che fanno leva sulla ragionevolezza e sulla comune esperienza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Via Antonio Pacinotti, 19/E - 35136 Padova
Tel 049 8712828 - Fax 049 8718798 - info@albertobuscema.it